Il mio incontro con la scrittrice Lucia Guida, in occasione dell’uscita del suo nuovo romanzo. "Come gigli di mare sulla sabbia" (AlcheringaEdizioni), il tuo nuovo romanzo, che, dopo "Romanzo popolare" (Amarganta), si inserisce nell'ambito di un progetto molto ambizioso, una trilogia dal titolo "Prospettive urbane": come è nata questa tua esigenza, cara Lucia? Tutto ha avuto inizio con la pubblicazione nel 2016 di un’opera di narrativa, “Romanzo Popolare”, da te ora citato, ambientato nel quartiere di San Donato di Pescara nel decennio 65-75. Il romanzo ha riscosso un discreto successo e qualcuno all’epoca mi ha chiesto di dargli un sequel, cosa che, però, non ho fatto. Ho, tuttavia, proseguito per una strada che secondo me meritava di essere approfondita: parlare di gente comune ma non ordinaria, come spesso sottolineo, sondando problematiche intrise di quotidianità che potrebbero far parte del vissuto di ciascuno di noi. Mi sono spinta in avanti e ho immaginato anche stavolta di narrare i pregi e i difetti di una città di provincia di media grandezza in epoca contemporanea attraverso le vicende dei condòmini di una palazzina liberty unite l’una all’altra dal fil rouge rappresentato dal concierge, Michele. Una sorta di nume tutelare per gli abitanti dello stabile di cui ha cura quasi maniacale, grato per il lavoro che a suo tempo lo ha salvato da una deriva non solo professionale ma anche personale ridandogli dignità. Ed è nato “Come gigli di mare tra la sabbia”. Un edificio d’epoca di inizio 900, una girandola di personaggi che si alternano in un magnifico mosaico: un palazzo di quattro piani, e una storia di donna per ogni piano, scelta non casuale, è così? Affatto. Qui c’è una precisa progettualità scrittoria. Partiamo dal primo piano e dal mega ufficio legale in cui è impiegata Elena, segretaria factotum di Paolo Germani e Giacomo Rossi, avvocati rampanti per i quali inizia a lavorare quasi per fatalità. Saliamo, poi, al secondo piano dove troviamo Serena, impegnata a barcamenarsi, per abitudine o pigrizia, alla meno peggio in un rapporto matrimoniale che non le dà più gioia o stimoli di crescita da coltivare con il partner. Al terzo i coniugi Fantoni, Arturo e Lina, combattono giorno dopo giorno con gli effetti devastanti della demenza senile di cui l’anziana soffre soli e senza appoggi di famiglia. E poi c’è all’ultimo piano l’appartamentino in comodato d’uso ai Di Battista, Michele ed Elvira, che li ospita perché entrambi possano in maniera continuativa fronteggiare le richieste degli abitanti del palazzo modellando talvolta le proprie esigenze su quelle di terzi. Michele con la sua devozione e l’amore incondizionato verso il suo lavoro ed Elvira che, rinunciando a diventare madre, è tutta per lui. Insomma, c’è parecchia carne sul fuoco, come si dice. Diverse problematiche su cui, spero, il lettore sarà portato a riflettere traendo al solito da sé le conclusioni. Elvira, Elena, Serena, Lina Fantoni: ogni donna con delle caratteristiche, ogni donna con un vissuto e un destino differenti. Pensi che in ogni donna possa esistere ognuna di queste donne? Perché no? Potrebbe essere una lettura anche questa, oltre a scandire per certi versi le tappe esistenziali che queste figure femminili (ma anche ciascuno di noi!) potrebbero attraversare lungo il loro percorso di crescita. L'amore devoto coniugale fino all'annullamento di sé, l'incapacità di amare, l'insoddisfazione e il tradimento, la malattia: affronti tutte queste tematiche, facendole passare attraverso gli occhi delle protagoniste... Mi verrebbe da dire che siccome in amore tutto è lecito e possibile il giudizio e le valutazioni dovrebbero essere sospesi. Mi spiego meglio: amiamo l’altro in base a ciò che siamo capaci di fare, a quello che possiamo dare e ricevere. Certamente l’Amore maturo, quello che ci fa stare bene resta l’optimum a cui ambire, con la differenza che per molti non è punto di partenza ma traguardo da conquistare. E allora può capitare di inerpicarsi per sentieri sterrati, come quando si fa trekking scegliendo zone impervie. È un bene? È un male? Se ci manteniamo nei limiti del possibile e del lecito non conta tanto la meta finale quanto piuttosto l’impegno che ci abbiamo messo per raggiungerla. A patto, ovviamente, di fare tesoro di ciò che ci è capitato, quanto meno per non ricadere in situazioni che ci fiaccano e che deprivano la nostra natura. Mi sa che mi sono addentrata in un terreno minato. Ma la vita è anche riflessione su quello che ci è capitato, temo. Di letti foderati di petali di rose e viole ce ne sono pochini… Gli uomini - Michele, Paolo, Andrea, Mattia, Arturo Fantoni - posti quasi sullo sfondo, anche se così in grado di condizionare la vita delle tue protagoniste: una scelta non casuale, quella di affidare loro un ruolo secondario? Io porrei diversamente la questione, se mi permetti. Protagoniste indiscusse sono certamente le personagge che tu hai menzionato, ma gli uomini che le affiancano non vivono di luce riflessa, hanno sentimenti e idee proprie che possono o meno collimare con quelli di chi hanno di fronte. Compiono scelte e azioni che sono influenzate da quelle delle loro partner e che a loro volta provocheranno effetti ben precisi rivoluzionando la situazione iniziale. La famosa teoria del caos di E.N. Lorenz secondo la quale piccole variazioni nelle condizioni iniziali determinano grandi variazioni nel comportamento a lungo termine del sistema che imperversa in web attraverso meme e citazioni più o meno azzeccate. Un fondo di verità c’è: l’interdipendenza che ci lega agli altri da cui, (me lo ripeto spesso anch’io che a volte pecco di eccessiva autonomia nei confronti del prossimo!) non si può ahimè sempre prescindere. Seguirà una terza parte, che hai appena cominciato a scrivere: vuoi darci qualche piccola anticipazione, nel limite del consentito? Allora, il terzo e ultimo frammento narrativo c’è ma è ancora allo stato embrionale. In questo periodo della mia vita ho investito sulla mia professionalità (sono una docente) riprendendo a studiare e dedicando a questa prospettiva parecchie delle mie energie; il lockdown ha fatto il resto: mi ha aiutata a potare i rami secchi in più di un ambito della mia vita. Certamente non ha intaccato l’amore per la pagina, in cartaceo o in virtuale, su cui continuo a scrivere per pensare e riflettere. Riprenderò con maggior sistematicità questo progetto scrittorio, è una promessa. E lo farò di sicuro per portarlo a termine. Lascia un messaggio ai nostri lettori... All’inizio del libro c’è una piccola citazione a mo’ di epigrafe: sono versi di Emily Dickinson che secondo me racchiudono l’essenza, molto prima che Baumann o Barthes ne parlassero, sia pure attraverso prospettive diverse,di ciò che l’amore, in tutte le sue sfaccettature può rappresentare per noi. La poesia è questa, che qui riporto integralmente, anche perché è brevissima: Che sia l'amore tutto ciò che esiste/ È ciò che noi sappiamo dell'amore; E può bastare che il suo peso sia/ Uguale al solco che lascia nel cuore. È tratta dall’unica raccolta postumadi questa poetessa che amo molto intitolata “Tutte le sue poesie”. Qui l’Amore è dipinto come sofferenza pura; un fardello difficile da portare, ma di sicuro il perno dell’universo di tutti noi, anche di chi pensa di poterne fare a meno perché è rimasto, magari, scottato da esperienze negative in tal senso. L’amore verso se stessi può, però, consentire di ripartire e ritrovare slancio: amarsi e accettarsi per ciò che siamo, magari in una prospettiva migliorativa che non guasta mai, ma con un po’ della consapevolezza accumulata nel corso degli anni. Cosa sicuramente difficile da raggiungere ma non impossibile. Io ci credo davvero, sai? Un grazie di cuore per questa bella chiacchierata, Ilaria.
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Marzo 2022
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